martedì 6 dicembre 2016

Belli carichi

Io mi dicono che quando parlo, spiego, racconto le cose, corro, salto, scorreggio contro vento, inarco il sopracciglio o guardo languidamente l'orizzonte, dicono che sono abbastanza bravo e interessante insomma non troppo noioso.

Alla fine, che te lo dicono te lo dicono te lo dicono, uno un po' ci crede.

Fino a che la realtà non si palesa nella sua cruda essenza.

Tipo venerdì.
A lezione.
Che io, nel tempo libero, leziono.
All'università (sì, io, lo so lo so, ebbeh, d'altronde il paese è allo sfascio, ci sarà un motivo).

Insomma spiego, in classe ci sono una quarantina di ragazzi, pure abbastanza svegli e brillanti, alcuni.

Insomma venerdì dico "belli ddde zio" (io con i ragazzi c'ho un rapporto informale) "belli ddde zio, òcio che oggi sono cazzi, nel senso che la lezione è bella pesa, e l'argomento è 'na zozzeria che non lo salva manco la senape e 'na palla non lo rallegra manco Checco Zalone", e loro annuiscono e aprono i quadernoni e iniziano a prendere appunti.

E io blablabla e loro scrib scrib e io ribla ribla ribla e facciamo esempi e chiedo e loro rispondono, insomma abbastanza, ma sono moderatamente soddisfatto, diciamo.

Poi però, a metà della seconda ora, lo vedo.
A destra, l'estrema destra dell'aula.
Non in fondo, non davanti, a metà, in quel banco che uno quando spiega non lo guarda quasi mai, perché guardi quelli delle prime file o, quando alzi lo sguardo, quelli in fondo.

Ma io a lui lo vedo.
Lo noto.
Che a un certo punto, smette di prendere appunti.
"vabbè, magari è già saputo", mi dico, pensando che il ragazzo, tipicamente proattivo, si è già studiato tutto il libro e quindi le cose esso le sa già.

Poi però esso allunga il braccio sinistro sul banco, penzolando la mano davanti al banco, tipo pesce all'amo.

Lo vedo, lo curo con la coda dell'occhio.

Poi piega il braccio destro a novanta gradi sempre sul banco.

Poi, lentamente, appoggia la testa sul braccio e mi guarda, con l'occhio spento, tenendo la testa piegata e la bocca semiaperta.

E infine, inesorabilmente, la testa si infila lenta nell'incavo del gomito, l'occhio si chiude e il respiro si fa lento.

Io, proseguo nella spiegazione.
Poi, rallento.
Mi taccio.
Lo guardo.
Tutti lo guardano, qualcuno ridacchia.
Io sussurro "però ve l'avevo detto che oggi sarebbe stata dura"

e qualcuno ha anche l'ardire di rispondere "eh sì".

Una ragazza lo tocca dentro, lui si riprende, biascica "scusi prof...", io sorrido e vado avanti, dicendo tranquillo, non fa niente, si figuri, la capisco.

Però poi lobboccio.